Il mio Selvaggio Blu (giugno 2013)
..... un brivido parte dalle braccia, arriva alla testa, si insinua sotto la nuca e passando per tutto il corpo arriva fino in fondo ai piedi.....
Questa sensazione non è legata a una parete alpinistica, alla salita di una cima o a una difficile via di arrampicata, ma a quello che viene definito il più bel trekking di tutta Italia. A distanza di quasi un anno, mentre scrivo, i ricordi riaffiorano e l'emozione è ancora profondamente viva in me dopo essermi immerso per quattro giorni nel "Selvaggio Blu".
L'itinerario si sviluppa nelle selvagge coste del golfo di Orosei, passando per il territorio del Supramonte di Baunei e quello di Dorgali, partendo dall'obelisco di Pedralonga fino ad arrivare alla splendida spiaggia di Cala Luna. Ci si tuffa nel cuore della Sardegna in un angolo ancora quasi incontaminato e di rara bellezza, si cammina su scogliere a picco sul mare a una quota compresa tra i 700/800 metri, ammirando l'incredibile costa di Baunei/Orosei con scenari mozzafiato, salendo e scendendo fantastiche "Codule" (valli che scendono verso il mare), attraversando incredibili "Bacu" (gole o valli asciutte), percorrendo magnifici boschi sospesi di leccio e ginepro, dove alcune aie carbonili sono un antico lascito dei carbonai.Si passa attraverso pascoli liberi, sorvegliati da pastori che silenziosi osservano dai "Cuili" (capanne costruite con pietra e legno di ginepro), ripercorrendo i loro vecchi sentieri si utilizzano le "Iscale e fustes" (passarelle di tronchi di ginepro) che consentono di passare attraverso le cenge più scoscese e ripide. Dall'alto delle scogliere con discese ripide si scende fino a tuffarsi nelle cristalline acque delle varie "Cale" (spiagge).
Preparo il materiale occorrente e dopo aver pianificato il viaggio, da Livorno parto alla volta della Sardegna. Da Pedralonga fino a Cala Luna i normali tempi di percorrenza sono di 6 giorni, il mio tempo è limitato e prevedo di ridurli a quattro forzando le classiche tappe. Da Cala Gonone parto con un gommone lasciando un paio di rifornimenti di generi alimentari e attrezzatura lungo il percorso, lo zaino è già abbastanza pesante e pensare di portare tutto sulla schiena sarebbe veramente impegnativo! Viaggio sempre con acqua e cibo per due giorni, l'attrezzatura alpinistica mi aspetta a cala Goloritzè ma nonostante questo il carico sulle spalle è notevole.
Quasi da subito il percorso è esigente, non ci sono indicazioni e diverse tracce di sentiero si incrociano rendendo difficile il giusto procedere.
Comincio a camminare alle 15,00 e il percorso inizia in alto a picco sul mare , le sue ampie sfumature sono turchesi a riva diventando blu profondo in mare aperto. La primavera è inoltrata, la vegetazione è ancora lussureggiante grazie all'inverno piovoso e le fioriture rigogliose fanno da cornice agli imponenti lecci e al legno ritorto del ginepro. Sarà una lunga giornata, vorrei percorrere le prime due tappe insieme, essendo fine maggio le ore di luce sono parecchie ma un imprevisto mi obbliga a tornare sui miei passi per un paio di ore fino a ritrovare la preziosa guida tascabile persa inavvertitamente, inizialmente sono tentato a proseguire senza ma il buon senso suggerisce il contrario, mi renderò conto poi che senza sarebbe stato impossibile procedere su questo difficile terreno.
Percorsa la cengia Giradili proseguo oltre la prima tappa, con qualche difficoltà reperisco il varco nella recinzione del bestiame che da accesso al picco costiero denominato "quota 228". Sono quasi le 22,00 e procedo con la frontale, ormai capisco che non arriverò dove mi ero prefissato e trovando uno spiazzo sotto un piccolo strapiombo decido di fermarmi per la notte. Raccolgo della legna per accendere il fuoco e ceno a base di pollo al curry disidratato, basta mettere nella busta mezzo litro di acqua calda e il gioco è fatto: "pappa e nanna".
La mattina la mia sveglia è un disco infuocato che sembra sorgere dagli abissi, gradualmente il sole si alza sul mare, osservo questo spettacolo che mi tiene inchiodato dentro il sacco a pelo e contemporaneamente la Berta Maggiore si alza nel cielo e comincia a volteggiare emettendo il suo verso che ricorda il pianto di un bambino.
Colazione a base di cereali, latte liofilizzato e via; lo zaino pesante mi ha infiammato un ginocchio, cammino zoppicando e ho bisogno di un bastone per aiutarmi, la discesa lascia subito posto a una ripida salita, passo vicino a una mucca morta e in decomposizione, probabilmente caduta dalla parete soprastante, l'odore è nauseabondo e mi abbandona solo dopo alcuni passaggi su roccia che mi portano su un altopiano. Il mio riferimento sono delle pareti rossastre, dopo averle oltrepassate arrivo ad un Cuile con due pozze di raccolta delle acque piovane, l'ambiente è quasi surreale; le vasche sono coperte con rami di ginepro, all'interno acqua putrida e al suolo giace quello che resta della carcassa di un animale le cui ossa biancheggiano al sole.
La discesa mi porta alla splendida cala di Porto Pedrosu e alla successiva di Portu Cuau; speravo tanto di tuffarmi ma purtroppo la corrente ha portato nella baia un'infinità di meduse... Un lembo di mare cristallino si insinua a forma di S tra le rocce, dove, proprio davanti alle scogliere è adagiata a una decina di metri di profondità la motonave Levante, affondata nel 1963 durante una tempesta di grecale con mare a forza 9 e venti a 150 Km orari.
Ora la traccia risale in quota e attraversando con diversi saliscendi i vari Bacu l'esile traccia spesso si perde, per trovare la retta via non devo usare gli occhiali da sole, il terreno di natura carsica è solcato da rigole affilate di roccia calcarea e i passaggi degli escursionisti hanno segnato in modo minimale la roccia. Qui la quota massima che si raggiunge è di circa 500 m slm per poi tuffarsi a capofitto nel Bacu Goloritzè dove la sagoma dell'omonima Aguglia è identificabile fin da lontano, gradualmente la scura roccia prende forma, si alternano placche levigate a fessure orizzontali, settori grigi a zone gialle erose, riconosco diverse linee di arrampicata salite da me nei diversi anni di attività, tutte confluiscono sulla piccola punta di pochi metri quadrati che si staglia come una freccia nel cielo limpido.
Alle 8 di sera dopo quasi due giorni di completa solitudine arrivo a Cala Goloritzè, e nell'arco di un attimo mi ritrovo in mezzo a tre gruppi di escursionisti, circa una trentina di persone che festeggiano mangiando e bevendo. Un folto gruppo capitanato da un accompagnatore sardo intona tipici cori mentre il loro cuoco cucina pesce sulla griglia, un gruppetto di francesi è abbastanza tranquillo e un altro gruppo di giovani di Milano cenano festosamente a base di risotto. Non mi aspettavo tutta questa gente, vorrei fuggire dal caos ma inaspettatamente compare "Pino", una guida alpina di Milano amico e compagno di corso, che calorosamente mi invita al loro tavolo evitandomi la mia solita cena disidratata.
Le tappe successive prevedono l'uso di attrezzatura alpinistica, brevi tratti di arrampicata e calate in corda doppia esigono conoscenze specifiche per poter effettuare con sicurezza queste manovre; il mio carico è decisamente aumentato, si sono aggiunte due corde, imbragatura, moschettoni, cordini e di nuovo acqua e cibo per due giorni.
Ritorno brevemente sui miei passi in direzione del passaggio della Boladina, è difesa da una pietraia che termina sotto una parete rocciosa alta una ventina di metri: arrampicare con il carico sulle spalle sarebbe proibitivo, lego lo zaino al capo finale della corda e arrivato in sosta lo recupero. Ora sotto di me ci sono gli altri gruppi, percorro quindi il canale ghiaioso con estrema attenzione, mi porto sull'ultimo atletico muretto che dà accesso alla meno difficile parte superiore della valle.
Proseguirò saltando la tappa successiva di Bacu Mudaloru evitando l'ennesimo sovraffollamento e fermandomi ad una grande grotta soprannominata "Cinque Stelle", sono nuovamente solo, all'interno c'è una piccola scorta di legna , evidenti segni di bivacco testimoniano i precedenti passaggi, sul fondo vi sono diversi punti di raccolta di acqua di stillicidio, finalmente posso dissetarmi senza razionare l'acqua che per precauzione porto ad ebollizione con il fornelletto.
4° e ultimo giorno: il mio programma sarebbe di arrivare in serata a Cala Sisine non fermandomi alla classica tappa di Mancosu.
Procedo per tutto il giorno con lunghe risalite, discese interminabili, arrampicate, calate in corda doppia, passaggi in archi di roccia naturali, errori di percorso, passo per la caratteristica Sa Nurca (stretta spaccatura tra le rocce), attraverso in mezzo a boschi sospesi sul mare, visito l'area carbonile della classica tappa di Mancosu ma procedo oltre: la mia meta è Cala Sisine! Il tempo passa veloce e facendo due conti mi rendo conto che arriverei molto tardi alla spiaggia, oltrepasso il caratteristico Su Strumpu, un aereo tratto di sentiero costruito a sbalzo sul vuoto dagli infaticabili carbonai, poi come per incanto mi trovo sotto ad una grande parete, alla sua base una perfetta e orizzontale terrazza naturale è sospesa a picco sul mare: cosa chiedere di più...
Non ho alcun dubbio, questo sarà il mio ultimo bivacco; con delle pietre mi costruisco un focolare, raccolgo la legna e accendo il fuoco alimentandolo volutamente in modo eccessivo, la mia ombra è proiettata e ingigantita sulla parete, si muove e danza in simbiosi con le lingue di fuoco; la luna è piena, ululo e grido nella sua direzione: sono solo al mondo... l'aria è carica di energia e io avido me ne nutro, mi sento attraversare da una sensazione sconosciuta e incredibilmente rigenerante. Consumata la cena mi tuffo nel sacco a pelo: il cielo con milioni di stelle è il mio tetto, un'arcata strapiombante mi dà riparo, le onde del mare che si infrangono sulla scogliera e il crepitare del fuoco sono la mia musica, e in estasi di fronte a questa esplosione di natura mi addormento come un bambino perso nel suo mondo di giochi ....
Il giorno dopo sarà quasi ordinaria amministrazione, raggiungo Cala Sisine a metà mattina, dall'alto la sua bianca spiaggia mi da il benvenuto; è completamente deserta, le barche con i classici turisti non sono ancora arrivate. Deposito lo zaino e mi tuffo nella fresca e limpida acqua, mi sento leggero, fluttuo nell'acqua in equilibrio tra i quattro giorni appena trascorsi e il ritorno alla vita quotidiana, mi distendo sul mare immobile ritornando con il pensiero a questo incredibile "viaggio", all'incontro unico e personale con me stesso filtrato dalle minimali necessità di questo trekking... Mi scaldo al sole concedendomi il lusso di un dolce liofilizzato, la spiaggia gradualmente comincia a prendere vita, dopo un paio di ore arriva Pino con il suo gruppo, lui e Valeria mi faranno compagnia lungo l'ultimo tratto del percorso fino a Cala Luna.
Ormai il ritorno alla realtà è conclamato, ma l'esperienza vissuta è custodita in un angolo del mio cuore, linfa vitale dalla quale poter attingere nei momenti di bisogno...
TREKKING "SELVAGGIO BLU"
Download allegati:
Programma Selvaggio Blu 2020.pdf
Il Mio Selvaggio Blu